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UN SACCHETTO DI BIGLIE di Christian Duguay

.. I MESTIERI DEL CINEMA...

     
 

Joseph e Maurice Joffo sono due fratelli che scorrazzano liberamente per le vie di una Parigi occupata dai nazisti. Roman, il padre dei bambini, è di origini ebraiche e gestisce un negozio di barbiere. Quando diviene obbligatorio esporre sul petto lo scudo di Davide e le persecuzioni tedesche si fanno sempre più pressanti, l'uomo si vede costretto a chiudere l'attività e a mettere in salvo la famiglia, trovando rifugio nella zona libera a sud della Francia.

I due bambini vengono incitati dai genitori a lasciare subito Parigi per recarsi a Nizza, dove la famiglia si sarebbe riunita di lì a poco e avrebbe potuto continuare a vivere senza il rischio della deportazione. Comincia così il viaggio di due ragazzini nella Francia occupata, tra le difficoltà che si possono incontrare nel compiere un tragitto così lungo e l'attenzione nel dover nascondere la propria identità ad ogni costo.

Arrivati a Nizza la famiglia riesce a riunirsi per un breve periodo, ma dopo poco tempo i ragazzi vengono portati in una colonia per proteggere la loro sicurezza. Durante una loro fuga dal campo, Joseph e Maurice vengono arrestati dalle SS che li sottopongono a un durissimo interrogatorio dal quale riescono a uscirne vivi per miracolo, ma la ricongiunzione con la famiglia è ancora distante.

 

con: Dorian Le Clech, Batyste Fleurial

durata: 110'

età consigliata: dai 10 anni

 

   

trailer 

Il canadese Christan Duguay, dopo anni spesi a realizzare numerose miniserie per la televisione, sembra che si stia specializzando in film per ragazzi. Nel 2015, infatti, ha diretto Belle e Sebastien - L'avventura continua, il secondo capitolo della trilogia di film tratti dai romanzi di Cécile Aubry. Ora, invece, porta sullo schermo Un sacchetto di biglie, riduzione cinematografica di un altro grande classico della letteratura per ragazzi, l'omonimo romanzo autobiografico di Joseph Joffo, edito nel 1973, in cui l'autore racconta la sua odissea da ragazzino, quando insieme al fratello è riuscito a sfuggire dalle persecuzioni naziste in Francia ai tempi della Seconda Guerra Mondiale.

Fare un film sul secondo conflitto mondiale e sulla deportazione degli ebrei è sempre una sfida. Se da un punto di vista etico e civile, è quantomai importante ricordare certi tragici avvenimenti, dal punto di vista cinematografico l'eventualità di confondersi nel bailamme della cospicua produzione sull'argomento è sempre dietro l'angolo, così come non è semplice offrire al pubblico una narrazione da prospettive inedite, che non riproponga quello che il cinema ci ha già raccontato più di una volta.

Il film di Duguay, benché si muova tra le righe del film per ragazzi, riesce a guadagnarsi uno spazio del tutto particolare tra i film sull'olocausto, senza campi di concentramento e senza camere a gas, filtrando la vicenda attraverso lo sguardo ingenuo di un ragazzino alle prese con un viaggio dai tratti quasi picareschi.

Una vera e propria fuga verso la salvezza, tra confini, posti di blocco e territori occupati, in cui non manca ai due piccoli protagonisti la consapevolezza che per portarsi in salvo e riabbracciare la famiglia devono celare la loro identità a ogni costo. È proprio in questo peregrinare dei due giovani protagonisti attraverso la Francia occupata, scampando ai persecutori tedeschi che ostacolano il loro cammino verso la libertà, che Un sacchetto di biglie esprime il suo aspetto migliore.

Se il film, infatti, da una parte resta naturalmente connesso con la vicenda che viene messa in scena, ovvero la persecuzione che gli ebrei europei subirono durante quel periodo, dall'altra il regista canadese non manca di intessere qua e là, più o meno volontariamente, velati riferimenti all'attualità. Le peripezie di Joseph e Maurice non sono così diverse da quelle delle migliaia di migranti che, minorenni e non, attraversano il Mediterraneo alla ricerca di una vita migliore. Corsi e ricorsi storici che Duguay, attraverso il racconto di un evento dello scorso secolo, riesce a congiungere con l'attualità, creando un piano di lettura multiplo dell'opera e un cortocircuito di riflessioni in chi assiste alla visione.

Non vengono presentati solo gli eventi storici, ma anche le storie personali, come quelle di formazione dei due protagonisti, nelle cui vite, tutto a un tratto, la spensieratezza dell'infanzia cede il passo alla paura e al timore di non poter riabbracciare mai più la propria famiglia. Duguay affronta la questione con la sensibilità necessaria, costruendo una narrazione dell'olocausto a misura di bambino, tuttavia abusando di enfasi con un commento musicale ultrapresente e con una fotografia da cartolina, che pesa visivamente sul film dandogli un aspetto da spot pubblicitario.

                                                                                                          Marco Marrapese

 

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