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SANTIAGO, ITALIA di Nanni Moretti

.. I MESTIERI DEL CINEMA...

     
 

L’incipit del film mostra Nanni Moretti che osserva di spalle il panorama della città di Santiago del Cile dall’alto. Forse una pausa emotiva necessaria prima di affrontare una riflessione ampia e profonda su un momento della storia recente che ha colpito profondamente tutte le persone che come lui l’hanno vissuto intensamente, quasi in prima persona, anche se a molti chilometri di distanza.

Quindi inizia il documentario che descrive le vicende seguite in Cile al breve governo socialista di Salvador Allende, dal cruento colpo di stato militare del 73, alla feroce repressione dei militanti dei partiti di sinistra, al rifugio nell’ambasciata d’Italia e all’accoglienza nel nostro Paese di molti di essi.

La prima  parte del film è illustrata in modo essenziale da materiali d’epoca, quali le riprese dell’attacco aereo al Palazzo della Moneda e l’ammassamento degli arrestati nello Stadio di Santiago. Successivamente il racconto è affidato alle testimonianze dei sopravvissuti (sia in Cile che in Italia) compresi due militari golpisti, soprattutto esuli cileni che trovarono solidarietà e lavoro in Italia. Oltre a quello di registi cileni (Patricio Guzmàn e Miguel Littìn), giornalisti e diplomatici allora giovani addetti all’ambasciata, Moretti raccoglie il commosso ricordo di artigiani e operai integrati ormai da decenni nel tessuto sociale italiano.

 

con: Nanni Moretti

durata: 80'

età consigliata: dai 14 anni

 

   

trailer 

Dopo il super-8 La sconfitta (1978) - e La cosa del 1990, Moretti firma, con questo, il suo terzo documentario dichiaratamente politico, segnato come gli altri da una comune amara disillusione.

Anche questo film nasce infatti sotto l’urgenza dolorosa di elaborare il lutto di una terribile repressione nei confronti dall’utopia socialista, mettendo a confronto lo slancio solidale del popolo italiano di allora nell’accogliere gli esuli con l’indifferenza sociale e la paura dei migranti di oggi.

Negli anni '60 e '70 in America Latina è avvenuta una serie impressionante di colpi di stato orditi dai militari, dall’Argentina (1962 e 1964) alla Bolivia, al Brasile, all’Uruguay. La dittatura militare in Cile, comandata dal generale Augusto Pinochet Ugarte durò a lungo, sino al 1988, sconfitta da un referendum che ripristinava alcune libertà costituzionali. Questi colpi di stato hanno una matrice comune nell’imperialismo economico statunitense e nella volontà delle classi borghesi di non perdere i propri privilegi. Paradossalmente l’esperienza cilena di un governo socialista democratico, anti-autoritario, e quindi in opposizione alla guida sovietica, fu avversato dalla stessa URSS, che aveva represso nel sangue pochi anni prima la Primavera di Praga di Dubcek.

Più che a una ricostruzione storica degli avvenimenti Moretti si dedica all’aspetto umano degli stessi, lasciando parlare liberamente, con tempi sospesi di commozione e di imbarazzo, i testimoni. Indimenticabile ad esempio l’emozione che blocca un esule mentre evoca la figura carismatica del Cardinale Henriquez, esponente della Teologia  della Liberazione. Il regista non incalza con la classica e abusata alternanza di campi e controcampi gli intervistati, che sono lasciati liberi come protagonisti di manifestare la loro umanità. Moretti si rivela come interlocutore autorevole solo nel momento in cui si oppone alla versione negazionista di un militare, tuttora incarcerato e accusato di omicidi e torture, che gli chiede un versione “imparziale” dei fatti, rispondendogli  con  un autobiografico “Ma io non sono imparziale!”.

Alcuni testimoni rivendicano la fedeltà a un’ideologia politica, che seppur sconfitta dalla storia, mantiene  comunque la forza di un’idealità morale. Afferma un operaio: “In ogni posto dove ho lavorato sono sempre stato delegato sindacale dei miei colleghi italiani”. L’umanità degli intervistati si manifesta altrove nella capacità di elaborare il trauma della prigionia e della tortura con l’arma dell’ironia: la scrittrice Marcia Scantlebury ricorda ad esempio il rapporto affettivo che si era instaurato con le proprie carceriere.

Anche se non programmato, l’impatto socio-politico con la situazione italiana è affermato con forza da alcuni esuli. Un’anziana educatrice di comunità si ritiene fortunata nell’aver acquisito, pur nell’esilio, una doppia identità, italiana e cilena, superando l’ideologia della superiorità di una cultura unica. Un altro testimone lamenta i cambiamenti antropologici manifestatisi negli ultimi anni in Italia, dove a una cultura dell’accoglienza e della solidarietà si è sostituita un’animosità regressiva consumistica e individualista.

Moretti non rinuncia, a chiusa del film, al suo animo ironico e a suo modo ottimista, mettendo in scena come inquadratura finale una banda di giovani cileni che suonano un’allegra marcetta…

                                                                                     Flavio Vergerio

 

 

 

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