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READY PLAYER ONE di Steven Spielberg

..  IL CINEMA COME FABBRICA DEI SOGNI...

 

2045. A causa dell'inquinamento e della sovrappopolazione le città sono ormai ridotte a enormi baraccopoli dove i giovani non hanno reali prospettive. Loro unica consolazione è così diventata la connessione e la “fuga” virtuale in OASIS, un universo virtuale ispirato all'estetica degli anni Ottanta del XX secolo. Ideato dallo scomparso programmatore James Halliday, OASIS è così un “mondo” in cui ognuno può assumere l'identità che preferisce e vivere esperienze eccitanti e avventurose. Prima di morire, però, Halliday ha lasciato alcuni enigmi nascosti in OASIS, per donare l'intera proprietà dello spazio virtuale a chiunque riuscirà a trovare il misterioso “easter egg” finale.

Wade Watts, un ragazzo orfano di padre che spende le sue giornate in OASIS con l'identità di Parzival, decide di provare a superare le varie prove per risolvere il mistero creato da Halliday. Durante l'avventura, conosce e si innamora anche di Art3mis, pure desiderosa di portare a termine il compito per il possesso di OASIS. Ma anche la potente multinazionale IOI vuole ottenere il controllo del mondo virtuale e mette in campo tutta la sua forza economica per cercare di superare gli enigmi. La gara di Parzival, Art3mis e gli amici che si sono uniti nel frattempo, diventa così una lotta di resistenza contro il colosso informatico, che vorrebbe trasformare lo spazio libero in una delle sue proprietà.

 

con Tye Sheridan, Oliva Cooke, Ben Mendelshon
durata: 140'
età consigliata: dai 10 anni
   

trailer 

Nel mettere mano al romanzo di Ernest Cline, Spielberg articola una precisa dialettica fra mondo reale e virtuale, producendo un'ambigua vertigine che ci dice di un tempo che ha smarrito il confine tra ciò che è vero e ciò che non lo è: l'ambiente in cui esiste Wade Watts non sembra soddisfare la sua realizzazione personale e quindi appare posticcio, diversamente da OASIS, che il protagonista definisce non a caso “l'unico posto dove sento di avere un senso”. In questo modo, Ready Player One, dietro l'apparente compiacimento spettacolare, diventa l'ennesima parabola spielberghiana sul senso fordiano dell'identità di una cultura e un mondo, resa ancora più complessa dalla frammentazione dei riferimenti. OASIS è costituito infatti da un agglomerato di immaginari che annullano la fattura tipicamente “americana” del racconto, per pescare anche da una serie di fonti “altre” (film, telefilm, cartoni animati, anime giapponesi, cinema, videogame, sino a tutte le declinazioni del gioco). Il fatto che questo scenario “liquido” sia comunque circoscritto agli anni Settanta e Ottanta del XX secolo è anche un'affermazione identitaria dello stesso Spielberg, fra i primi a cambiare lo scenario dell'intrattenimento in quel periodo.

Nel tornare dunque a un immaginario in larga parte proprio, il regista di Cincinnati è anche il primo a raccogliere davvero la sfida lanciata da un testo fondamentale e problematico come l'Avatar di James Cameron, che si interrogava sullo stesso tema dello sfasamento identitario: se il mondo “reale” in cui esistiamo non sembra più rispondere alle affermazioni del sé, non è forse lo spazio e il corpo “virtuale” la nuova frontiera per riscoprire e riaffermare il proprio io?

Nel dare fondo a queste domande, Spielberg sceglie la strada più rischiosa: non quella della dicotomia dentro/fuori OASIS, pure presente, ma quella strettamente empatica. L'immersione nell'universo virtuale è inebriante, il modo in cui viene abbracciata la sottocultura geek è sentito ed entusiasta, e il gioco delle citazioni diverte lo spettatore, permettendogli di godere a livello emotivo e quasi “sensoriale” di quello spazio “altrui” che diventa facilmente “proprio”. Per esaltare ancora di più la differenza fra i protagonisti e i rispettivi avatar, la scelta degli attori opta per giovani volti non particolarmente carismatici, piuttosto in grado di esprimere le ferite dell'io reale, contrapposte all'esasperato senso della coolness delle controparti di OASIS.

Il divertimento pop della storia apre così progressivamente spazi di problematicità rispetto al conflitto reale/virtuale: Spielberg, come già rimarcato, non condanna la fuga nello spazio irreale, poiché vede insita in essa un ventaglio “cameroniano” di possibilità sulla ricerca dell'identità interiore al netto delle problematicità scatenate dal mondo di fuori. Ma, allo stesso tempo, non nasconde la drammaticità della posta in gioco rispetto a un mondo che va smarrendo se stesso.

Il punto di fuga è così costituito dalla lotta che si viene a instaurare fra Wade e la multinazionale IOI, che nel voler far proprio l'OASIS sintetizza la deriva più autoritaria e strettamente mercificatoria del virtuale, aliena a qualsiasi possibilità liberatoria. Al di là dei delicati equilibri e delle contraddizioni del sistema posto in essere, quindi, la posta in gioco era e resta sempre schiettamente identitaria.

                                                                                                          Davide Di Giorgio

 

 

 

 

 

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