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PINOCCHIO di Enzo D'Alò

..  LA GRANDE ILLUSIONE E IL MOVIMENTO CHE NON C'È...

 

Il film si apre con Geppetto bambino che corre per la strada con un aquilone che però presto gli scappa dalle mani, volando in alto e scomparendo nel cielo. Molto tempo dopo, quello stesso aquilone metaforicamente torna nelle mani del suo proprietario, ormai vecchio, sotto forma di un ciocco di legno. E, magicamente, il ceppo d’albero inizia a parlare, perciò l’uomo decide di lavorarlo e costruisce un burattino che chiama Pinocchio e che diventa subito il suo amato figlio. Ma la gioia del vecchio falegname si scontra da subito con la vivacità del burattino che gli dà filo da torcere.

Pinocchio è un monello, una peste, non vuole andare a scuola, neppure quando Geppetto, per comprargli l’Abbecedario, vende la sua casacca. È refrattario a qualsiasi regola e ama dire bugie anche quando queste gli fanno crescere il naso. Nelle sue numerose avventure Pinocchio si mette spesso nei guai. Deve fare i conti con l’inganno e la furbizia del Gatto e la Volpe, con il minaccioso ed enorme Mangiafuoco, con il Pescecane che l’inghiottirà. Per fortuna a salvarlo arriva la Fata Turchina che lo cura, di volta in volta, insieme al Corvo, la Civetta e persino il Grillo parlante.

Pinocchio finisce nell’Isola dei Balocchi e viene trasformato in asino. Infine si ritrova nel ventre di una balena, dove ritrova e salva Geppetto, che con la sua barca era andato a cercarlo in mare. E, grazie a tutte queste vicende che l’hanno spesso messo in pericolo, alla fine Pinocchio sembra aver appreso la lezione e imparato a essere più rispettoso e amorevole con il padre.

durata: 78'
età consigliata: dai 6 anni
   

trailer 


Ispirato all’omonimo classico della letteratura dell’infanzia di Carlo Collodi, il Pinocchio di Enzo D’Alò arriva sugli schermi dopo diversi annidi lavorazione, una troupe di più di 300 artisti e una scelta d’uso di un sofisticato software digitale per realizzare l’animazione. Nato da un progetto ambizioso e intrigante del regista stesso e dello sceneggiatore Umberto Marino nel lontano 2000, il film si caratterizza come prodotto capace di coniugare efficacemente le potenzialità offerte dalle nuove frontiere del digitale con uno stile espressivo e rappresentativo che ha il sapore delle pagine sfogliate di un bellissimo libro illustrato. I colori squillanti e vitali dei disegni di Lorenzo Mattotti, le opere di Rossini, la colonna sonora scanzonata e divertita di Lucio Dalla, un efficace cast di doppiatori, da Rocco Papaleo a Maurizio Micheli, fino a Pino Quartullo, Andy Luotto, fanno dell’opera di D’Alò una produzione curata nello stile visivo, briosa, interessante, fresca...

Pur rimanendo complessivamente fedele all’opera di Collodi, questa versione cinematografica sceglie inoltre una forma narrativa e stili di rappresentazione che evidenziano una personale chiave di lettura e lo portano lontano dalle precedenti interpretazioni cinematografiche della celebre fiaba. Alcuni elementi di novità sono legati, come ha dichiarato il regista stesso, a una sua personale rilettura del romanzo fatta da adulto, ma con lo spirito di chi ricerca, nella memoria, l’approccio al testo di quand’era bambino. Il desiderio di mostrare un burattino felice di stare al mondo, ingenuo, libero, scanzonato, capace di trasformare ogni disavventura in un episodio felice, si traduce in scelte ben precise: “non far crescere” la fata turchina e rappresentarla come una bambina dai lunghi capelli turchini; dare molto spazio ai tentativi del burattino di andare alla scoperta del mondo, più che alle punizioni che gli vengono inflitte; iniziare la narrazione da quando Geppetto era bambino per passare poi al tempo della maturità e al desiderio dello stesso di avere un figlio da plasmare.

Particolare attenzione, nella pellicola di D’Alò, viene rivolta proprio alla relazione tra Geppetto e Pinocchio, tra il desiderio del primo di avere “un figlio su misura” e quella del secondo di essere spirito libero e anarchico che attraversa le vicende che gli accadono con curiosità e lievità.

Ed è proprio la lievità un elemento che caratterizza tutta la narrazione e che la rende così differente dalle altre. I movimenti agili, saltellanti di Pinocchio che a grandi balzi entra in situazioni, paesaggi e avventure, fanno di questo film un’opera che sembra voler porre l’accento più sull’aspetto divertito dell’essere bambino, che su quello regolativo e normativo che caratterizza il Classico. Quasi a voler dire che Pinocchio non è tout court cattivo e disubbidiente. È piuttosto, come spesso accade nell’infanzia, desideroso di conoscere e scoprire, ma lo fa in modo ingenuo, credulone e per questo diventa facile preda degli ingannatori.

Non a caso piuttosto rilevanti sono per esempio le figure del gatto e della volpe che trascinano il burattino nel vortice di disavventure da cui non sarebbe mai in grado di uscire, se non avesse qualche aiutante buono dalla sua parte. Tratti psicologici e comportamentali questi che il regista utilizza come a volerci ricordare che i bambini sono esseri speciali a cui va permesso di sbagliare, ma che vanno presi per mano e accompagnati nella crescita, nella scoperta del bene e del male, di ciò che è giusto e di ciò che non lo è. Con dolce fermezza, con modelli positivi e con affetto, proprio come agisce Geppetto nei confronti di Pinocchio. Comportamento che fa sì che il padre riesca sempre a vedere nel figlio il lato positivo, che alla fine Pinocchio smetta di ricevere, ma inizi a donare e che i due ci lascino, al termine del film, con negli occhi l’immagine di un uomo e un bambino che camminano tenendosi per mano.

Patrizia Canova

 

 

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