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.. LA GRANDE ILLUSIONE E IL MOVIMENTO CHE NON C'È... | ||
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Un naufrago tenta di raggiungere il relitto di una barca tra le onde di un mare in tempesta: si risveglia su di una spiaggia deserta. Esplora il territorio alla ricerca di una presenza umana. Mentre cammina sulle rocce scivola e precipita in una sorta di lago sotterraneo dal quale esce a fatica nuotando attraverso uno stretto cunicolo. Sulla spiaggia un branco di piccole tartarughe si dirige verso l’acqua. Decide di costruire una zattera e fuggire, ma un mostro, dapprima invisibile e che poi si rivela essere una grossa tartaruga marina, distrugge per tre volte la sua imbarcazione. durata: 80'
età consigliata: dai 14 anni |
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I rumori della tempesta precedono le prime immagini. La natura ha una sua musica composta dai suoni prodotti dallo scatenarsi degli elementi, dai silenzi, dalle voci delle creature che la abitano, dall’attrito di piccoli movimenti impercettibili. Questi suoni sono la colonna sonora di molte sequenze del film e permettono allo spettatore attento una totale immersione nel paesaggio; la musica vera e propria accompagna invece le attività dell’uomo, diventa la voce dei suoi sentimenti, delle emozioni, dei momenti lirici in cui fiorisce l’idillio tra lui e la donna e di quelli in cui prevale la disperazione. Non ci sono parole, tutto viene detto con i suoni e i gesti dei protagonisti. Al centro del racconto troviamo la Natura, che ci appare nel profilo dell’isola, nei boschi e nelle radure, nell’intreccio del verde, nella furia degli elementi, ma anche nella figura femminile uscita dalla pelle dell’animale che ci riporta ad antiche leggende di esseri che vivono tra terra e mare. La spiaggia assolata termina a ridosso della foresta lussureggiante che si estende ai piedi di una roccia nuda e imponente, il canto degli uccelli, i versi e i rumori dei piccoli abitanti della terra danno l’idea della perfetta fusione dei tre regni di una natura incontaminata. L’uomo è solo un esile essere che non sopporta la solitudine e che, solo quando trova una compagna, accetta di rinunciare a fuggire. Per il figlio la vita sull’isola scorre parallela alle incursioni nelle profondità del mare dove le tartarughe lo accompagnano; sono loro che, dopo lo tsunami, lo guidano in un punto molto lontano dalla riva dove ritrova il padre e lo salva. Durante l’infanzia i genitori gli hanno trasmesso l’idea dei mondi dai quali provengono; giunto alla maturità, fa la sua scelta e si getta nel mare dove lo aspettano le tartarughe per condurlo dove vivono gli esseri che non hanno smarrito completamente la loro natura animale. Il regista, anche in altri suoi film racconta solo con le immagini e i suoni. La struttura delle figure, anche se in uno stile essenziale, acquista qui una corposità più marcata rispetto alla stilizzazione dei lavori precedenti, le linee che contornano le figure umane e i movimenti che le animano si caricano di dolcezza, che sottolinea l’affetto caldo e sincero che lega i personaggi. Il paesaggio celebra il trionfo dell’elemento naturale. Il rosso della tartaruga può essere una scelta estetica che spezza la monotonia cromatica del mare e della spiaggia, ma incarna anche l’energia vitale originaria di ogni forma di vita; la zattera, costruita dall’uomo con la vela fatta di foglie, è l’emblema di un desiderio di fuga. Ci sono molte tracce nel film che alludono a Robinson; non solo le più ovvie, il naufragio e l’isola, ma anche il relitto, una botte vuota restituita dal mare, e le orme lasciate dalla donna quando compie i primi passi sull’isola. Dopo il secondo naufragio della zattera, l’uomo si lascia andare a uno stato di inattività velato dal desiderio di morte e questo ci ricorda il “pantano” nel quale Robinson si rivolta a lungo prima di decidersi a ricostruire il suo destino sull’isola. Dudok De Vit opera un’interessante metamorfosi non ponendo al centro della storia la ricostruzione della presunta civiltà di origine ma il rapporto dell’uomo con la natura; sostituisce al selvaggio Venerdì una figura femminile, non meno selvaggia, date le sue origini animali, tuttavia carica di una serena umanità capace di ridare uno scopo all’uomo oppresso dalla solitudine e di indirizzare la sua vita verso una tranquilla convivenza con la natura. Laura Zardi |