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LA PARANZA DEI BAMBINI di Claudio Giovannesi

.. I MESTIERI DEL CINEMA...

     
 

Il quindicenne Nicola vive con la madre e il fratello più piccolo nel rione Sanità di Napoli. La madre gestisce una lavanderia soggetta al pizzo di una famiglia camorrista che controlla il quartiere.

Una sera Nicola fa amicizia con Agostino, il figlio di un ex boss che, nonostante la perdita del controllo territoriale, nutre ancora il rispetto di abitanti e commercianti della zona. Con altri cinque coetanei - Tyson, Biscottino, O’Russ, Lillipop e Briatò - Nicola prima si mette a servizio di Don Vittorio, in seguito, con l’aiuto di Agostino crea un clan autonomo. Armi alla mano, approfittando della sorpresa suscitata dall’intraprendenza di una banda di adolescenti, i giovani conquistano il mercato locale degli stupefacenti.

Inizia a girare molto denaro, che permette loro di soddisfare vizi e desideri. Nicola conquista il cuore di Letizia, una ragazza che vive in un quartiere a lui interdetto. Il momento di gloria però è effimero, tra di loro non c’è più accordo, l’idea di Nicola è ripristinare ordine e “giustizia” nel quartiere rinunciando al pizzo. Quando il fratello minore e i suoi piccoli amici trovano delle armi da fuoco incautamente incustodite, scatenano un gioco sanguinoso che avrà esiti drammatici.

 

con: Francesco di Napoli, Ar Tem, Alfredo Turitto

durata: 105'

età consigliata: dai 14 anni

 

   

trailer 

Il romanzo di Saviano che precede il film di Giovannesi nasce dall’urgenza di portare in superficie un contesto che - come spiega lo scrittore - nei vicoli di Napoli vede l’età degli affiliati ai clan camorristici drasticamente abbassata, dopo la marginalizzazione delle vecchie famiglie, sostituite da giovani imprenditori del crimine il cui obiettivo è solo fare soldi, ottenere potere e regnare sulla città. I quartieri partenopei dove è alta la dispersione scolastica, dove la legalità è un concetto estraneo e le attività lavorative devono spesso fare i conti con le estorsioni, dove il mercato degli stupefacenti dilaga e, in coincidenza con un crescente tasso di disoccupazione, diventa una strada accattivante verso un veloce guadagno, fanno da sfondo antropologico non secondario.

I protagonisti del film sono figli della violenza e vittime di modelli massificati e omologati su pochi concetti (ma chiarissimi in mancanza di alternative), che sono alla base di miti che sbaglieremmo a definire nuovissimi, ma che attecchiscono oggi più che mai nella povertà culturale: denaro e fama a qualsiasi costo, essere riconosciuti anche in assenza di talenti e il lusso esibito come forma di potere. I ragazzini incoscienti di Giovannesi sono il frutto amaro degli angoli abbandonati della loro città e il regista li sorprende in fragranza di reato già dalla prima bella sequenza del film, quando rubano un albero di Natale.

Si è detto molto sulla perdita dell’innocenza di questi bambini coesi in una paranza armata, ma in verità poco innocenti già lo sono. Il percorso verso la formazione delinquenziale (come fu anche Alì in Alì ha gli occhi azzurri) è la diretta conseguenza di un’innocenza già perduta, che poi si palesa tragicamente nella sequenza emblematica della raffica di proiettili sparati su un terrazzo verso le antenne paraboliche per provare l’ebrezza del fuoco e sotto un cielo che si colora di altri fuochi, quelli artificiali. Immagini che fanno rima con l’eccitazione dei due disgraziati diciottenni che in Gomorra provano i kalashnikov in riva al mare.

I sacrifici di Nicola, che deve rinunciare al rapporto con la fidanzatina Letizia perché vive nei Quartieri Spagnoli, ovvero in territorio nemico, o all’amicizia con il sodale Agostino, le fratture nella stessa paranza tra amici di infanzia, sono il punto di non ritorno dopo il salto a piedi pari nel mondo dei grandi, la conferma della perdita dell’incanto irreversibile quando la guerra tra clan inizia a strozzare il gioco “a fare i boss” e il sangue prende a scorrere nei vicoli, per cui dare la morte o morire è messo in conto e non è più eccezione tragica.

Giovannesi ha la capacità di avvicinare lo spettatore a personaggi che sono in piena trasformazione, che hanno già un passato difficile e che tanto hanno già perduto (vedi Fiore nel film precedente). Ciò detto, nel racconto di questa ascesa criminale fa più impressione il fratellino di Nicola, poiché il suo sguardo è a un passo dall’essere sverginato; osserviamo per frammenti la metamorfosi del suo immaginario, la mistificazione del crimine, l’aberrazione della realtà che inizia a mitizzarsi: eccola dunque la perdita dell’innocenza manifesta e angosciante, un balzo scioccante verso l’inferno, la cronaca di un’educazione al male senza insegnamenti diretti ma per emulazione, bambini che guardano da una lente deformante un orizzonte stretto e che propone come unico paesaggio possibile la miseria umana.

 

                                                                                                           Alessandro Leone

 

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