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LA MIA VITA DA ZUCCHINA di Claude Barras

..  LA GRANDE ILLUSIONE E IL MOVIMENTO CHE NON C'È...

 

Il suo nome è Icaro, ma la sua mamma lo chiama Zucchina, una mamma spesso ubriaca, che a volte riversa su di lui il suo odio per il mondo. Il papà se ne è andato e lui ha disegnato la sua figura su di un rudimentale aquilone: facendolo volare forse pensa che il padre lo protegga dal cielo; il bimbo gioca costruendo castelli con i barattoli di birra vuoti.

Un giorno, mentre gioca nella sua stanza, gli giunge la voce della mamma che minaccia di picchiarlo; in un gesto istintivo di difesa, chiude la porta che dà sulla scala dalla quale lei sta arrivando: la mamma cade e muore. Il bimbo è solo, un poliziotto viene incaricato di portarlo in una casa-famiglia, in cui sono già ospitati altri bambini, tutti con un passato tragico alle spalle. Dopo un primo momento critico, il gruppo degli altri lo accoglie con benevolenza e stabilisce con lui un rapporto di solidarietà e di amicizia

Poi arriva Camille: anche lei è rimasta sola e ha una zia che non la ama e la vuole con sé solo per interesse. Camille non vuole andare con lei; riesce a registrare, in un momento in cui sono sole, la voce della zia che rivela le sue vere intenzioni; il giudice le concede di rimanere nella casa.

Il poliziotto, che ha subito compreso il dramma di Icaro, continua ad andare a trovarlo; in seguito intuisce il legame di affetto creatosi tra Icaro e Camille e decide di adottarli entrambi.

 

durata: 66'
età consigliata: dai 10 anni
   

trailer 

Nell’incipit la messa in primo piano di oggetti  che saranno afferrati dalla mano del bambino focalizza subito l’attenzione sul suo operare, lo pone al centro della scena: è lui il protagonista sia in relazione all’intreccio che alla forma in cui esso viene raccontato. Le pareti della stanza sono piene di disegni attraverso i quali egli cerca di animare la solitudine in cui vive. 

Nel film gli oggetti hanno una loro funzione simbolica: l’aquilone-babbo e il barattolo vuoto si caricano per Icaro di un carattere quasi sacro e, una volta giunto in un nuovo contesto, si addolora se finiscono in mano di altri: la loro presenza alimenta il disperato tentativo di conservare il ricordo della famiglia che ha avuto e che non ha più.

All’arrivo del bambino nella Casa-famiglia sono quasi inevitabili le derisioni del gruppo, l’appellativo, “Patata” carico di un seppur leggero e ironico dispregio; ma dopo una prima accoglienza in cui scattano i  meccanismi di esclusione del nuovo arrivato, l’ostilità si trasforma in accoglienza sancita dal riconoscimento del nome col quale Icaro vuol essere chiamato: “Zucchina”, il nome nel quale egli vive la sua vita precedente, il legame con la madre, un legame forse non contraddistinto da affetto, ma l’unico in cui egli si riconosce, che gli consente di attribuirsi un’identità. La presenza di coetanei amici e di adulti benevoli sembra sciogliere progressivamente il peso del suo dramma interiore.

Nel film gli stereotipi dell’esclusione vengono ribaltati: il poliziotto come rappresentante della legge ed esecutore delle regole diventa un attento osservatore dell’animo e percepisce subito il dramma vissuto dal bambino. La direttrice autoritaria e a volte tirannica si trasforma in un’amabile persona che gestisce la vita della casa con rispetto per i drammi dei suoi ospiti. Il personale è attento e affettuoso. L’ambiente è accogliente nei confronti dei protagonisti, ma nella loro memoria ristagna il dolore per le esperienze vissute. Simon trasforma il dolore in un’apparente durezza, Alice maschera i momenti più tristi sotto la fluente banda di capelli che le nasconde parte del volto, Ahmed, Jujube, Beatrice, tutti hanno tristi esperienze famigliari e sono rappresentanti di una società multietnica.

Il film, girato in stop-motion, presenta caratteristiche originali e innovative a livello stilistico. Agli interni connotati da un realismo minuzioso si contrappongono i paesaggi surreali che fanno da sfondo ai “viaggi” affrontati dal protagonista.

I volti dei pupazzi, come è nella tradizione dei bravi marionettisti dell’animazione, riportano impercettibili segni di emozioni, i movimenti accennano a tipici atteggiamenti infantili, entrambi trasmettono allo spettatore la reale connotazione del personaggio bambino. Non vi sono segni troppo evidenti dello scorrere del flusso emotivo quasi che i mutamenti avvenissero solo nella nostra percezione. E i grandi occhi tondi, spalancati sul mondo e velati da una leggera malinconia, forse proprio per la loro semplicità ci scrutano e ci riportano lo sguardo chiaro e implacabile di un’infanzia pronta a restituirci l’attenzione che le dedichiamo.

Il film è una versione abbastanza fedele del libro omonimo di Gilles Paris, che ha avuto un grande successo di pubblico in Francia ed è stato tradotto in molte lingue. L’edizione italiana è a cura di Piemme Edizioni. Claude Barras ha dichiarato di aver voluto adottare uno stile narrativo semplice e lineare anche in omaggio al tipo di scrittura adottato nel libro.

                                                                                                    Laura Zardi

 

 

 

 

 

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