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La famosa invasione degli orsi in Sicilia

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Clip di presentazione del film
 


 
Regia: Lorenzo Mattotti
Sceneggiatura e dialoghi: Thomas Bidegain, Jean-Luc Fromental, Lorenzo Mattotti
Creazione grafica: Lorenzo Mattotti
Montaggio: Sophie Reine
Musica: René Aubry
Studio d’animazione: 3.0 Studio
Produzione: Prima Linea Prod., France 3 Cinéma, Pathé, Indigo Film con Rai Cinema
Origine: Francia, 2019
Distribuzione: Bim
Durata: 82 minuti
Dai 9 anni

TRAILER UFFICIALE
Scheda film da scaricare
 

Tonio, figlio del buon re degli orsi Leonzio, viene catturato da due cacciatori. Il re, caduto in depressione, non governa più il suo popolo che finisce in preda alla fame. Viene persuaso a scendere a valle in cerca di cibo fra gli umani.

Convinto dal mago De Ambrosiis che si tratti di un’invasione, il Granduca di Sicilia scatena l’esercito, ma gli orsi lo obbligano alla ritirata facendo rotolare su di esso enormi palle di neve. Il Granduca allora attacca gli orsi con un’orda di cinghiali, che vengono però trasformati in palloni aerostatici da un incantesimo del mago al servizio di re Leonzio. Tornato alla corte del Granduca, il mago tende altre trappole agli orsi, facendoli passare dalla Rocca Demona, popolata di fantasmi, e alla locanda Tremontano, abitata dall’antropofago Gatto Mammone. Gli orsi riescono ancora a vincere.

Il Granduca assiste a uno spettacolo teatrale per celebrare la presunta vittoria. La principale attrazione è l’orsacchiotto Tonio che danza su una corda. Arrivano gli orsi, il Granduca muore, Tonio è salvo. Leonzio è acclamato re della Sicilia. Però la pace e la prosperità durano poco per colpa del ciambellano Salnitro che organizza serate di crapula in cui viene coinvolto Tonio.

Mentre Salnitro mostra al re il progetto di un’enorme statua che dovrebbe celebrarne la memoria, il mago, per fuggire di prigione, scatena il drago Gran Serpente dei Mari. Leonzio, per salvare il popolo, si sacrifica stritolato fra le fauci del drago. Sul letto di morte nomina successore il figlio Tonio, ordinandogli di riportare il popolo sulle montagne, lontano dai vizi degli umani.
 
 
A prima vista il romanzo da cui è tratto il film appare come una divertita illustrazione degli eterni temi del rapporto ambiguo dell’uomo con l’ambiente in cui vive, alla ricerca della propria identità, nel conflitto fra natura e cultura, vinto dalla brama di potere e ricchezza.
Ma sul piano narrativo e stilistico il testo di Buzzati appare come un giocoso e ironico smontaggio degli stereotipi della fiaba classica. La figura dell’eroe viene negata, nessun deuteragonista appare se non sotto la forma di risibili tiranni, fantasmi e mostri marini; il percorso di conoscenza dei protagonisti non porta a nulla: gli orsi tornano alle montagne sconfitti nel loro sogno di ricchezza e felicità.
Tutti i personaggi sono privati delle caratteristiche mitiche eroicizzanti. Il giudizio morale sui personaggi rimane incerto. Buzzati sembra poi essere pienamente consapevole della funzione psicanalitica delle fiabe. Ma questa consapevolezza si manifesta in modo ancora una volta ilare e tangenziale. L’ironia dichiarata tende a mettere in dubbio soprattutto le intenzioni educative moraleggianti, tipiche delle fiabe di La Fontaine. La vocazione ecologista e pauperista di Buzzati si manifesta tuttavia in modo esplicito nel discorso sul letto di morte di Re Leonzio ai suoi orsi.
Il carattere ludico, ilare e umoristico del testo di Buzzati cede il passo a un’ispirazione più poetica e malinconica nella sua trasposizione filmica. Mattotti e i suoi collaboratori sembrano aver presente l’affermazione di Bettelheim secondo cui le fiabe non debbono essere illustrate con immagini e figure realistiche, pena la riduzione e il condizionamento dell’immaginazione del bambino.
Il film risponde a questa necessità di indeterminatezza con una complessa strategia di astrazione simbolica delle immagini stesse. Si vedano le teste degli orsi, quasi squadrate e intagliate nel legno; la coppia dei menestrelli vestita secondo la tradizione popolaresca siciliana; le lunghe file di orsi e di soldati risolte in modo sintetico e geometrico; la figura filiforme, a imitazione di un insetto, del mago De Ambrosiis in contrapposizione alla corpulenza degli orsi… Ogni figura umana o animale è sottoposta alle esigenze di un’estetica antinaturalistica desunta da diverse tradizioni culturali.
Ma il principio di indeterminatezza trova una felice realizzazione soprattutto nella pittura del paesaggio. Mattotti si dedica alla creazione di ampi spazi attorno all’azione: la Sicilia immaginaria è fatta di una moltitudine di vette innevate, tutte eguali, e di foreste composte da file ordinate di conifere; fiumi e distese marine assistono impassibili alle evoluzioni del Mostro dei Mari, la capitale de Regno è un presepio di casette dominate da un castello turrito. Il paesaggio è immerso in una luce immota, con tocchi onirici di surrealismo. Ne risulta un’atmosfera misteriosa che rende irreale tutta la vicenda.
Il film è costruito con una serie di rimandi e di incastri. Straordinario ad esempio il montaggio vertiginoso e speculare che mette in raccordo lo spettacolo teatrale (con citazione ironica del “Ballo Excelsior”) e l’attacco degli orsi che alla fine uccidono il Granduca. Facile l’equazione fra guerra e teatro… Mattotti affida così la sua prospettiva umanizzante, più che al messaggio “morale” pronunciato da Re Leonzio sul letto di morte, con l’invito agli orsi a tornare alle loro montagne, a un’estetica dell’armonia e di un rapporto pacificato delle forme fra la natura e l’uomo.
Flavio Vergerio
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