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IO SONO LÌ di Andrea Segre

.. QUANDO IL CINEMA ERA MUTO...
 
 

La cinese Shun Li lavora in un laboratorio tessile dalle parti di Roma. Per poter emigrare ha contratto un debito con un’organizzazione malavitosa del suo Paese; sogna di poter riconquistare la propria libertà restituendo la somma e di far venire poi in Italia il figlio di otto anni.

Senza alcun motivo apparente i suoi “padroni” la spostano a Chioggia, ove finirà a fare la barista in una povera osteria frequentata da pescatori e anziani pensionati. Malgrado le iniziali difficoltà linguistiche e culturali, la donna si inserisce bene nell’ambiente, tanto da iniziare un delicato rapporto sentimentale con Bepi, un solitario pescatore di origini slave, detto “il poeta”, vedovo di un’italiana, con un figlio inurbato sulla terraferma.

Ma l’amicizia, che potrebbe trasformarsi in un matrimonio, viene prima criticata e poi decisamente ostacolata sia dalla chiusa comunità cinese che dai chioggiotti, che nascondono dietro la dichiarata preoccupazione per un matrimonio d’interesse il loro latente razzismo. Nelle violente discussioni che ne seguono un energumeno arriva a picchiare Bepi, facendolo allontanare tristemente dal gruppo di “amici”.

La donna, riconquista infine da sola la propria libertà, si trasferisce altrove e apre un laboratorio in proprio ricongiungendosi al figlio. Quando ritornerà a Chioggia per un breve viaggio della memoria verrà a sapere che Bepi è morto a Mestre, dopo aver abbandonato la sua amata laguna.

con: Zhao Tao, Marco Paolini, Giuseppe Battiston
durata: 96'
età consigliata: dai 14 anni

 

   

trailer 

Quando è stato presentato alla Mostra di Venezia nel 2011 Io sono Li è stato un’insperata sorpresa nella modesta pattuglia dei film italiani. Avrebbe meritato il Concorso maggiore ed è stato un grande merito dei selezionatori delle Giornate degli Autori averlo valorizzato. Del resto le stesse Giornate avevano proposto l’anno prima il bel documentario dello stesso Andrea Segre Il sangue verde, dedicato alla rivolta degli immigrati impiegati nella raccolta degli agrumi a Rosarno. Già in quel film (l’ultimo di una serie di documentari apprezzati e premiati in vari festival) il regista veneto aveva manifestato un’intensità di sguardo e un’originalità di impianto narrativo inconsueti.

Segre non si limita a denunciare le ingiustizie sociali (emarginazione, lavoro nero, razzismo) che subiscono gli immigrati, specie se clandestini, privi quindi di tutele e di accesso ai diritti sindacali. Il suo è soprattutto un lavoro di scavo nell’anima profonda degli uomini vittime dell’emigrazione coatta e delle difficoltà di un’integrazione mai compiuta.

L’asse di osservazione di Segre si sposta significativamente dai luoghi comuni che conosciamo sull’argomento per rivelare una realtà ancora più complessa e angosciosa. Si veda l’attenzione indotta sul volto misterioso dell’organizzazione cinese che sfrutta la protagonista (il padrone del ristorante è probabilmente solo un prestanome). I meccanismi economici travalicano ormai il semplice impiego/sfruttamento della manodopera straniera da parte degli imprenditori italiani. La metastasi è molto più complessa e disumanizzante. La delicata storia d’amore, altrettanto significativamente, vede inconsueti protagonisti due immigrati provenienti da mondi culturali lontanissimi, la Cina e l’ex Jugoslavia. Tuttavia Li e Bepi sono accomunati dai bisogni essenziali di vicinanza, solidarietà, amore condiviso per il lavoro e la natura (ambedue sono ammaliati dalla bellezza misteriosa della laguna). Bellissima ad esempio la sequenza in cui Li mostra a Bepi una vecchia foto del padre intento a pescare, immagine in cui lo slavo si identifica con commozione. Un rapporto amoroso fondato sui silenzi, sugli sguardi egualmente volti a cogliere la malia della laguna, su un verso poetico che tenta di dar corpo a sentimenti impalpabili.

Io sono Li è un film sullo spaesamento e la perdita di identità, non solo dei due protagonisti, ma anche degli altri malinconici frequentatori dell’Osteria “Paradiso” (sic), che nascondono la loro solitudine dietro gli spritz e la finta allegria caciarona. La straordinaria fotografia curata da Luca Bigazzi ci restituisce un’immagine di Chioggia estranea a ogni convenzione turistico-kitsch. Una cittadina fantasmatica, che sembra priva di storia, sospesa com’è fra terra e acqua (che invade spesso le strade e i piani bassi delle case),da cui sivedono brillare le nevi lontane delle Dolomiti... Bepi cerca pace e solitudine nel suo casone sorretto da pali infissi sulla laguna, ove cuocere alla griglia un povero piatto di pesce. Ma la casa, morto lui, sarà destinata al fuoco, come un sogno consunto e impossibile.

                                                                                                           Flavio Vergerio                                                                   

 
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