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IL LIBRO DELLA GIUNGLA di Jon Favreau

.. IL CINEMA COME FABBRICA DEI SOGNI...

 

Mowgli è cresciuto nel branco dei lupi dopo che la tigre Shere Khan ne ha ucciso il padre ma è scappata essendo stata ferita col ‘fiore rosso’, cioè il fuoco. Per la tigre il piccolo rappresenta tutto il genere umano in erba, pericoloso per la millenaria quiete della giungla, e per questo gli dà la caccia prima che diventi adulto. La pantera Bagheera, che ha trovato Mowgli, gli fa da maestro inflessibile, vietandogli di ricorrere a stratagemmi preclusi agli animali.

La vita del ragazzo è ricca di avventure fantastiche, popolata da personaggi simpatici come l’orso Baloo, un amico buffo e spensierato, che gli trasmette uno stile di vita più scanzonato rispetto a quello impegnativo della pantera, e da altri assai poco rassicuranti come il re delle scimmie, nel suo grandioso palazzo brulicante di agilissimi sudditi.

Attraverso una serie di prove che lo fanno crescere in forza e astuzia, ma anche in maturità e consapevolezza, Mowgli compie un autentico percorso di formazione, sempre sotto lo sguardo vigile e protettivo di Bagheera, decisa a riportarlo fra gli uomini per sottrarlo alla ferocia della tigre.

Dopo aver sintetizzato il rigore e la severità della pantera con l’indipendenza estrosa e la gioia di vivere di Baloo, Mowgli riuscirà a sconfiggere Shere Khan e sarà pronto per tornare a vivere con i suoi simili.

 

durata: 105'
età consigliata: dagli 8 anni 

 

   

trailer 

 

Il libro della giungla di Wolfgang Reitherman uscì nel 1967. Erano passati quattro anni e mezzo dalla comparsa sugli schermi de La spada nella roccia (1963). Dopo la prima versione cinematografica di Zoltan Korda del 1942 in cui il cucciolo d’uomo si chiamava Sabu, (cui il protagonista di oggi, il tredicenne newyorchese d’origini indiane Neel  Sethi, assomiglia in modo sorprendente), Walt Disney voleva che il passaggio del romanzo anglo-indiano di Kipling all’animazione avesse una specifica identità e diede un’indicazione precisa ai suoi animatori: ‘La gente deve venire al cinema non per ‘leggere’ il libro di Kipling, ma per divertirsi grazie a esso’. Disney scomparve durante la lavorazione del film nell’ottobre del 1966, e il film divenne così anche il suo testamento spirituale: l’esortazione a coniugare la serietà e l’impegno della vita adulta con la leggerezza e il divertimento.

L’idea di realizzare un remake live-action delle avventure di Mowgli si scontrava con l’antropomorfizzazione degli animali, a cominciare da Baloo, che rendeva poco agevole il passaggio a un’animazione fotorealistica, e con il ritmo musicale del film di Reitherman che rischiava di stonare con lo spirito originario dei racconti di Kipling. Appariva rischioso attingere ancora a quell’intramontabile classico letterario, e impossibile reggere il confronto con un capolavoro cinematografico del genere.

Il regista Jon Favreau è riuscito a superare questi due ostacoli principali e ha vinto la scommessa abbandonando il tono spensierato, quasi da musical, del film di Reitherman, che rispecchiava lo spirito dei libertari anni Sessanta, e recuperando invece quello originario del romanzo, con la sua atmosfera cupa e moralistica, che contribuisce a restituire alla giungla il suo fascino inquietante. Determinante in questo la sceneggiatura di Justin Marks, che affronta con sguardo adulto le problematiche relative al rapporto fra natura e cultura e fra umani e animali attraverso la figura di Mowgli, oscillante fra due mondi e due regni: non è né uomo né bambino, né animale, né essere umano.

Parallelamente gli animali perdono parte del loro carattere umano e tornano a fare il loro mestiere di animali: gli elefanti riprendono la loro solenne e minacciosa autorità rispetto all’ironia sulla disciplina militare del colonnello Haki; il pitone Kaa si limita a una flautata voce femminile ma perde il potere ipnotico che il disegno animato aveva saputo dare ai suoi occhi; l’orso Baloo abbandona le sue accattivanti qualità da umano fannullone.

L’eccellente qualità dell’animazione digitale integra perfettamente il protagonista in carne e ossa con gli animali parlanti in CGI, sullo sfondo di una giungla indiana di straordinario fascino visivo, ricostruita grazie a tecniche prodigiose. Il film oltre tutto non rinnega il legame con la versione del 1967, cui rende omaggio riproponendone alcune canzoni come la mitica ‘Lo stretto indispensabile’ di Baloo, padre dello scacciapensieri ‘Hakuna Matata’ del Re Leone trionfatore agli Oscar.

Favreau è riuscito a coniugare la serietà documentaristica con la potenza epica, mostrandosi abilissimo a utilizzare al meglio tutto quanto uno studio come la Disney riesce a mettere a sua disposizione, vale a dire centinaia di collaboratori, e contemporaneamente a dissimularne la presenza sullo schermo. Che fra l’altro è l’essenza del cinema stesso.

                                                                                                        Silvia Savoldelli

 

 

                                                                                                   

 

 

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