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IL GRANDE DITTATORE di Charlie Chaplin

.. QUANDO IL CINEMA ERA MUTO...
 
 

In Tomania un barbiere fa ritorno alla propria bottega nel ghetto, dopo aver trascorso diverso tempo in ospedale, colpito da amnesia. La vita nel ghetto è sempre più difficile per via del neo dittatore Adenoid Hynkel e del suo odio verso la popolazione ebraica.

Deciso a invadere l’Ostria Hynkel, il dittatore si avvicina con le sue truppe ai confini del paese, col pretesto di una battuta di caccia. Nel frattempo il barbiere riesce a scappare dal campo dove era stato internato e le camicie grigie lo scambiano per il dittatore, il quale invece, caduto accidentalmente in acqua, viene preso dalle guardie del campo per il fuggiasco…

 

 

 

 

 

 

con: Charlie Chaplin, Paulette Goddard, Jack Oakie
durata: 102'
età consigliata: dai 10 anni

 

   

trailer 

Annoverato tra le cento migliori commedie da salvare, secondo l’American Film Institute, Il grande dittatore costituì il più grosso successo commerciale di Charlie Chaplin, consacrandolo, se ancora vi erano dubbi, tra i maestri della settima arte.  Sul film che raccontava la vicenda “del piccolo barbiere ebreo e del potente dittatore a cui per caso assomiglia”, mettendo in scena in maniera parodistica la follia omicida dell’imminente nazismo e del suo creatore, è stato detto molto, sono stati numerosi gli intellettuali, scrittori, storici, filosofi, a scriverne. Un’accuratissima documentazione, composta dalle numerose versioni di sceneggiature, lettere, fotografie, appunti preparatori, bozze di soggetto, copioni di lavorazione, attesta la travagliata genesi della pellicola.

Il grande dittatore rischiava di non vedere la luce, suscitando infatti l’ira di diplomatici sia inglesi che tedeschi timorosi che per il soggetto trattato si potessero rompere gli equilibri politici tra i Paesi, certi che il film non avrebbe avuto alcuna chance di essere distribuito. Convinto più che mai a mettere alla berlina Hitler, Chaplin dichiarò che avrebbe noleggiato egli stesso le sale cinematografiche, ed era disposto a finanziare personalmente l’intera produzione del film.

In diretta con la Storia, con alcune delle sue pagine più drammatiche e contraddittorie, è la vicenda stessa a intrecciarsi con la realtà del momento, “Il Dittatore è il mio primo film in cui la storia è più grande del piccolo vagabondo!”.

Dalla stesura delle prime bozze del soggetto nell’autunno del 1938 all’uscita sugli schermi statunitensi trascorrono due anni cruciali per gli equilibri dello scacchiere mondiale: Chaplin comincia a elaborare il soggetto due giorni dopo la “Notte dei Cristalli” (quando la furia antisemita si scatenò colpendo negozi e sinagoghe e furono bruciati migliaia di libri non graditi ai nazisti), dà inizio alle riprese pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra dell’Inghilterra e Francia il 3 settembre 1939 a seguito dell’invasione della Polonia da parte della Germania.

Quando il film venne presentato al pubblico il 15 ottobre 1940, al Capitol e all’Astor di New York, la Germania aveva già invaso l’Austria, la Polonia, la Cecoslovacchia, la Norvegia, la Danimarca, la Francia e si preparava ad attaccare la Gran Bretagna, mentre l’Italia entrava in campo al fianco della Germania. Nel frattempo gli Stati Uniti decidevano di aiutare la Gran Bretagna e soltanto il 7 dicembre 1941 entravano a loro volta in guerra.

Il grande dittatore fu accolto con entusiasmo sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna, ma fu vietato nei Paesi occupati e in America Latina.

A settantasei anni dalla sua prima uscita, Il grande dittatore torna sugli schermi cinematografici italiani in versione originale con sottotitoli italiani, restaurato da Criterion Collection in collaborazione con l’Immagine Ritrovata e distribuito dalla Cineteca di Bologna per il ciclo Il Cinema Ritrovato. Al cinema.

l restauro si inserisce nel progetto che da anni vede coinvolta la Cineteca di Bologna, cui gli eredi di Charlie Chaplin hanno assegnato il compito di ricostruirne l’intera opera, oltre alla digitalizzazione e catalogazione dell’immenso archivio cartaceo, e al restauro dei film.

Vietata nell’Italia fascista perché ridicolizzava Hitler ma anche Mussolini, la pellicola fu presentata per la prima volta nell’ottobre 1944 e successivamente fece brevi apparizioni in versioni incomplete. Si dovette attendere il 2002 per vedere il film nella sua effettiva durata e con la scena del ballo, censurata nelle precedenti versioni, tra Hynkel e la moglie di Benzino Napaloni, ovvero Rachele Guidi Mussolini.

Se nel precedente, Tempi Moderni, Chaplin dava la voce a Charlot soltanto per cantare, è col Il grande dittatore che fa il suo incontro col sonoro. Un film parlato costituiva una svolta sul piano lavorativo, imponendo una vera e propria sceneggiatura scritta, l’elaborazione di una fase preparatoria il più dettagliata possibile, e soprattutto la necessità di abbandonare il metodo di completare una sequenza alla volta. E più ancora, di evitare l’improvvisazione, con la sola eccezione di due momenti: la sequenza della rasatura del barbiere sulle note di Brahms e quella, celeberrima, in cui Hynkel nel delirio di onnipotenza danza col mappamondo, accompagnata dalla musica di Wagner.

L’idea di interpretare il doppio ruolo, del barbiere ebreo e dello spietato dittatore, come è stato osservato, era stata in qualche modo suggerita a Chaplin dalla stampa, che sin dalla metà degli anni trenta infatti ironizzava con vignette satiriche sulla somiglianza tra il vagabondo più celebre del mondo e Hitler, tanto che in Germania Tempi Moderni fu messo al bando.

Con Il grande dittatore, Chaplin decide di congedarsi da Charlot, di privarlo dell’innocenza dello sguardo sul mondo. Il suo barbiere resta il personaggio familiare di sempre, conosciuto e amato dal pubblico, a cui tuttavia decide di dare la parola per enunciare uno dei più accorati messaggi di pace.

Nel mettersi nei panni di Hynkel, Chaplin si documentò molto visionando cinegiornali d’epoca che ritraevano il dittatore, così come Il trionfo della volontà di Leni Riefensthal sul Raduno di Norimberga del Partito Nazionalsocialista, pellicola che sul piano cinematografico costituiva un punto d’arrivo nel cinema di propaganda (nella sua biografia “Stretta nel tempo” la regista si sofferma a lungo a descrivere l’incontro con Hitler). Col risultato di far proprie e restituire in maniera sublime certe manie di Hitler: il saluto della mano, la camminata pretenziosa, le pose esagerate, una certa eleganza affettata. Ma è soprattutto quando il protagonista parla alle folle che la caricatura è folgorante, rendendo ancora più evidenti la demagogia e l’isteria dei suoi discorsi: un grammelot anglo-tedesco, un flusso di parole senza senso che Hynkel declama e urla come preso da un accesso di tosse. La satira raggiunge i toni burleschi con l’incontro tra i due dittatori Hynkel e Napaloni (interpretato da un bravissimo Jack Oakie).

Un film lungimirante, la cui universalità del messaggio anche oggi, a due terzi di secolo dalla sua uscita, è rimasta intatta. Un apologo sulla tolleranza, senza tempo, che però si lega inevitabilmente a un momento storico preciso, ne fissa il punto di non ritorno. Nel periodo in cui Chaplin girava la pellicola non si sapeva ancora con esattezza la finalità dei campi di concentramento, sarà infatti solo sul finire del 1940 che il regime nazista manifesterà tutta la sua violenza elaborando la “soluzione finale”, la deportazione e lo sterminio sistematici della popolazione ebraica. In un primo tempo il regista avrebbe voluto girare parte del film in quei luoghi, ma nell’impossibilità di “visualizzarli”, ha modificato la scenografia e lo ha ambientato nel ghetto, anch’esso forse più simile al set di un film con Charlot che a una raffigurazione realistica.  

“Se avessi saputo com’era spaventosa la realtà dei campi di concentramento, non avrei potuto fare Il grande dittatore; non avrei trovato niente da ridere nella follia omicida dei nazisti”. Non potendo vedere né cogliere appieno la portata degli eventi, Chaplin fa un passo indietro e per la sequenza del discorso, la cui preparazione richiese tre mesi di lavoro, il tono della narrazione cambia bruscamente registro. Scambiato per il dittatore, il barbiere di fronte alla folla comincia a parlare: e in quell’esitare, per qualche istante, davanti alla macchina presa, vi è forse il presagire, l’immaginare qualcosa di inimmaginabile. A chi ebbe da ridire sul drastico cambio di tonalità del finale, Chaplin rispose: “Sarebbe stato molto più semplice far scomparire il barbiere e Hannah nella linea dell’orizzonte, al tramonto, in cammino verso la terra promessa. Ma non esiste alcuna terra promessa per gli oppressi del mondo intero. Non esiste nessun luogo oltre l’orizzonte in cui possano rifugiarsi. Devono cercare di restare in piedi, come noi.”

 

Luisa Ceretto

                                                                  

 

 

 

                                                                                                   

 

 

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