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ALITA: ANGELO DELLA BATTAGLIA di Robert Rodriguez

..  IL CINEMA COME FABBRICA DEI SOGNI...

 

Anno 2563. La Città di Ferro è un agglomerato di disperati che si contendono i rifiuti della metropoli sospesa Zalem, ultimo sogno dell'umanità piagata da secoli di guerra. Proprio fra i rottami, il dr. Ido, brillante scienziato, trova i resti di un cyborg femminile il cui cervello è miracolosamente ancora intatto. Dopo averle donato un nuovo corpo e un nome, Alita, Ido la tratta come se fosse la figlia scomparsa tempo addietro, cercando anche di aiutarla a ricostruire la memoria perduta. Nel frattempo Alita conosce Hugo, un ragazzo patito di Motorball, lo sport più seguito del momento, che sembra essere l'unica via d'accesso a Zalem: il vincitore dei tornei, infatti, ottiene il privilegio di essere ammesso nella metropoli. Allo stesso tempo, la ragazza-cyborg inizia a dimostrare capacità eccezionali, con notevole agilità e conoscenza delle arti marziali.

Fra i vari tentativi di mettere insieme i pezzi del suo passato, Alita si ritrova al centro di numerose dinamiche, che coinvolgono da un lato il dottor Ido, che in realtà è un cacciatore di taglie, lavoro con cui riesce a mantenere aperto il suo laboratorio; e dall'altro Chiren, ex moglie di Ido che sogna di tornare a Zalem e si è alleata per questo a Vector, che controlla il Motorball e agisce agli ordini di Nova, un boss della metropoli sospesa.

In uno scenario dove nessuno è quello che sembra, ma tutti hanno un ruolo ben definito, Alita lotta insieme a Hugo per la sua consapevolezza e per raggiungere Zalem.

 

durata: 122'
età consigliata: dai 12 anni
   

trailer 

Progetto multiforme, nato dalla mente di un appassionato di fantascienza come Yukito Kishiro, sulle pagine dell'omonimo e fortunato manga, Alita trova l’incarnazione cinematografica nella collaborazione inedita fra un avanguardista come James Cameron (produttore e sceneggiatore) e un visionario indipendente come Robert Rodriguez (per la prima volta alle prese con un progetto ad altissimo budget). Dal primo mutua la capacità di manipolare in senso espressivo le poyenzialità del cinema digitale e 3D, e la sapienza di mescolare i toni al punto da equilibrare la pesantezza dello scenario metallico con la levità del sentimento adolescenziale che unisce la giovane protagonista, alla scoperta della propria vita, con la missione di conoscenza e altruismo verso il compagno Hugo. In una scena emblematica lei gli offrirà il suo cuore metallico, salvo vedersi mettere in guardia dalla necessità di non fidarsi troppo degli altri.

A Rodriguez spetta invece dare consistenza visiva a questa dicotomia pesante/lieve, attraverso l'ispirazione un po' isterica di design umani e robotici, a volte dalla natura quasi insettoide per il profluvio di lame e arti che i vari corpi sfoderano. Ma soprattutto per la capacità acrobatica delle scene di battaglia, dove i personaggi danno fondo a sé stessi, ma allo stesso tempo ancora una volta si liberano dalle costrizioni della fisica (e del fisico), disegnando nuove traiettorie nello spazio, compiendo azioni impossibili, in un ibrido di dinamismo all'americana e astrazione di derivazione giapponese. Un lavoro che già nelle sparatorie “impossibili” del Mariachi e nelle avventure ipercinetiche degli Spy Kyds, oltre che nelle rievocazioni teoriche del vintage di Grindhouse rendeva il regista texano l'uomo giusto per questa operazione.

Alita in effetti è un film di equilibri e continue contrapposizioni, un po' retrò nel ritrovare la forza propulsiva del corpo meccanico come nelle saghe di Terminator e RoboCop, ma inedito e moderno nella capacità di rimodulare lo stesso in una chiave anche intimista. Il ritmo, infatti, alterna momenti d'azione dal ritmo scatenato ad altri in cui i personaggi si prendono il loro tempo per esplorare le dinamiche di reciproca interazione, creano alvei di pace in cui si confidano i rispettivi sentimenti e provano a rompere il silenzio del continuo “non fidarsi” per donarsi con sincerità l'uno all'altro.

Anche per questo, a ricoprire il ruolo del nemico non è tanto un singolo protagonista: la struttura, pensata evidentemente per successive prosecuzioni, snocciola anzi dei “cattivi” che agiscono secondo una dinamica quasi dei vasi comunicanti, impadronendosi dei corpi altrui in un gioco di maschere che fa pendant con il continuo rimpiattino degli inganni e dei segreti da svelare. Non fidarsi è anche la chiave per esplorare un mondo ingannevole, che anche in questo senso acquisisce piena consapevolezza teorica rispetto all'estetica digitale, e ci riporta ad Avatar: chi è l'uomo e chi l'alieno, il sintetico, il “finto”? Alita fornisce la sua risposta con una protagonista meccanica ma dai sentimenti più veri di tanti personaggi superficialmente reali.

Apparentemente semplice nelle articolazioni, Alita: Angelo della battaglia, fin dall'ossimoro del titolo, è in realtà un'opera sfuggente e capace di intervenire nel dibattito interno al moderno cinema spettacolare con la levità del film di cassetta e il peso di chi vuole imporre la sua verità, ponendosi in posizione dialettica con i campioni del genere.

 

                                                                                                         Davide Di Giorgio

 

 

 

 

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